Compagni, adesso che si fa?

di Bruno Casati *                                                                                                               

Chi l’avrebbe detto? Chi l’avrebbe mai detto che, con il voto di Febbraio, il M5S sarebbe diventato la seconda forza politica di questo strano Paese e che sarebbe stato un comico ad avere in pugno la golden share del Governo italiano? E ancora, chi l’avrebbe mai detto che la coalizione di Bersani sarebbe riuscita a spuntarla nel voto, ma solo grazie al fatto che nella “corsa del gambero”, in cui vince chi arretra di meno, Berlusconi ha perso qualcosa come sei milioni di voti contro i tre milioni e mezzo lasciati sul campo dal PD e, malgrado ciò, il Berlusconi dato per morto sfiora il sorpasso? E infine, chi l’avrebbe mai detto che, dopo la pensata del Governo Tecnico, oggi, un Governo, avendo oltretutto mantenuto  una pazzesca legge elettorale, è di fatto senza maggioranza e, quindi, le elezioni sono annunciate, con il giovane Renzi che, in riva all’Arno, aspetta il passaggio galleggiante del povero Bersani? E da ultimo, chi l’avrebbe mai detto che le destre unite si sarebbero confermate,  questo è gravissimo, alla  guida della Regione Lombardia, malgrado le reiterate nefandezze di Formigoni e le porcherie di una Lega che dimezza sì i propri consensi in soli due anni, passando dal 26 al 13%, ma oggi si trova a dirigere tutto il Nord produttivo del Paese, fatta forte  della campagna elettorale di un PD tremebondo che è arrivato al voto nazionale dopo un anno passato a emendare timidamente Monti e, in Lombardia, per l’ennesima volta, si è inventato un candidato Presidente impalpabile,  che non ha fatto nemmeno la  campagna elettorale?

Tutto ciò, solo richiamato, può portare a dimenticare che al voto di Febbraio  si erano presentati anche i Comunisti del PRC e del PdCI, ma guarda un po’! Ebbene sì, c’eravamo anche noi, solo che gli elettori italiani non se ne sono nemmeno accorti, e anche i simpatizzanti e gli iscritti facevano fatica a rintracciarli,    mimetizzati com’erano (PRC e PdCI) nella Lista “Ingroia, Rivoluzione Civile” o, addirittura, occultati in Lombardia dentro un misterioso logo , “ETICO”, un’ideona questa che ha polverizzato le simpatie che pure avevamo calamitato alle primarie sostenendo la bella figura di Andrea Di Stefano. Sintesi: non ne facciamo giusta, una che è una.

Ora noi discettiamo petulanti di Grillo, Bersani, Renzi, Vendola, Monti e Berlusconi;  di costoro sappiamo tutto, ma noi cosa diciamo di noi, dopo che il voto ci ha cancellati, per la seconda volta in cinque anni, dalla scena politica? Di questo bisogna ragionare, tenendo presente che mai i comunisti, dal PCI al PRC e al PdCI, furono esclusi dal Parlamento italiano, Furono solo i fascisti nel 1926 a mettere fuori legge ed arrestare i deputati comunisti eletti dal popolo. Rammentiamo inoltre che i comunisti, dal PCI in poi, vennero sempre eletti nel Consiglio Regionale della Lombardia da quando, nel 1970, vennero istituite le Regioni. Dal 2008 i comunisti però non sono più nel Parlamento della Repubblica senza che nessun fascista li imprigionasse, e dal 2010 non sono più nemmeno in Regione:  abbiamo fatto tutto da soli. Guardate, fossimo gli azionisti di un’azienda che, per due volte di fila, sbaglia clamorosamente il prodotto lanciato nel mercato,  non ci penseremmo un attimo a mandare a casa Amministratore Delegato e Direttore Generale. Un partito, se minimamente serio, dovrebbe  fare la stessa cosa, e  chi per due volte, basterebbe una, ci ha portato ad un disastro di queste proporzioni dovrebbe lui stesso farsi da parte e chiedere scusa. Qualcuno lo ha fatto sottovoce, qualcuno ha fatto finta di farlo, qualche altro, i più, resta marmificato al suo posto, pronto a farsi riconfermare in un Congresso, per poi magari svendere il Patrimonio Immobiliare dei partiti, già prosciugato dai debiti, per pagarsi una prossima campagna elettorale. Altolà, abbiamo già dato! Altolà, fermiamoci almeno noi a ragionare e ad ascoltarci e, per una volta, facciamolo   senza più vincoli di partito o di area, che possono risultare impedenti in una situazione diventata così seria. Non siamo sull’orlo del precipizio, stiamo cadendo!

Il mio sommesso contributo al ragionamento mi porta a dire (mi era già capitato di sostenerlo   pubblicamente, e scriverlo, ben prima del voto, anche se mai mi sarei aspettato un risultato così drammatico dallo stesso) che sono stati commessi errori principali, di analisi e scelta strategica, ed errori secondari, di immagine e di tattica. Ad esempio, quello dei simboli è un errore grave, in Lombardia gravissimo, ma tutto sommato secondario, anche se reso ancor più pesante dalla congiura del silenzio mediatico che, non da oggi, ci ha oscurati. Resto altresì convinto che se avessimo presentato il collaudato simbolo della Federazione della Sinistra (sciaguratamente svuotata da parte dei micro-leader al comando) pur a fianco di simboli di gruppi alleati, il risultato sarebbe stato migliore.  Pare però  che la lezione subita con  la Lista “Arcobaleno” nel 2008 non sia servita gran che. Come mi sforzo di considerare secondario l’errore commesso con una composizione delle liste per il voto politico che, per l’ennesima volta, ha escluso i territori e le competenze, per garantire, (proposito miseramente fallito, anche se fino al giorno prima del voto i progettisti della sconfitta si compiacevano tra di loro dei sondaggi positivi), per garantire, ripeto, quanti furono eletti nel 2006, ripresentati e bocciati nel 2008, di nuovo imposti e di nuovo bocciati nel 2013 e, se le cose non cambiano, guardate che ce li ritroveremo, o ve li ritroverete, fra qualche mese di nuovo in lista a far danni. Ma, con un po’ di sforzo, quello dei simboli e delle liste può essere appunto collocato nel campo di errori secondari che, pur tuttavia, ci parlano di scarsa competenza dei gruppi dirigenti nazionali e, per la composizione delle liste, di un autoritarismo, anzi di un caporalismo, che maschera l’assenza di autorevolezza di chi comanda ma non dirige. Poi ci sono gli errori principali, di analisi e di strategia. Sono tre a mio parere questi errori.

IL PRIMO è quello di un’impronta che ci si è dati di un settarismo autoreferenziale, presente più nel PRC che nel PdCI, che però si è adeguato. Una chiusura estremistica in sé che ha ostacolato la ricerca delle alleanze utili al fine di riportare i comunisti in Parlamento, perché questo era l’obbiettivo. Al voto non si va per fare testimonianza. Questa ricerca doveva essere attrezzata per tempo, già invitando i compagni a partecipare alle primarie del Centro-Sinistra, votando Vendola, (qualcuno l’ha fatto soggettivamente) e non ingigantendo le differenze che pure esistevano. Non lo si è fatto, perché “con Vendola giammai”, e si è dimenticato che la politica è l’arte del possibile. Si è poi ripresentata una seconda occasione di recupero, con il voto da darsi al Senato, dove senza tante titubanze perché c’era da fare anche un’operazione di dissuasione intelligente del “voto utile”, si doveva pubblicamente invitare a votare Bersani. Non lo si è fatto, se non soggettivamente perché “con Bersani meno che mai”. E così invece di costruire amici o almeno smontare un attacco  prevedibile , si sono costruiti avversari. Torna in mente il monito che Gramsci rivolse a Bordiga: “Tu non capisci le differenze”. E siamo stati cancellati continuando a non capire le differenze.

IL SECONDO ERRORE consiste in un vero e proprio abbaglio: quello di ritenere che gli elettori delusi dal PD e da SEL, che sono stati davvero tanti, si dovessero spostare meccanicamente verso “Rivoluzione Civile”. Si è così ripetuto l’errore che, ai  tempi, commetteva DP quando pensava di incassare i voti dei delusi del PCI. Oggi PD e SEL hanno, è vero, perso consensi e stanno vivendo un travaglio che pure andrà peggiorando e dall’esito indefinito, ma i loro delusi hanno trovato ,a sinistra, non una formazione politica seria che si proponeva  il cambiamento, ma un gruppuscolo di predicatori saccenti, “mosche cocchiere” di movimenti ora inesistenti o che , se esistenti, oltretutto li ignoravano. E i delusi hanno perciò guardato altrove.

IL TERZO E CONSEGUENTE ERRORE consiste in una analisi sbagliata, propria di chi si è chiuso autisticamente in sé stesso e si inventa un mondo fantastico secondo il  quale veniva a configurarsi uno spazio politico da coprire tra Centro Sinistra, in cui Vendola, da noi irriso, pure agitava idee di sinistra, e M5S in cui Grillo, con tante contraddizioni, impugnava anche idee laburiste. Questo spazio di fatto non c’era.  Esisteva, è vero, mesi prima, e andava occupato con idee-forza e  non con il chiacchiericcio movimentista o con sporadiche manifestazioni sfogatoio. Il Partito non è un corteo. Non lo si è fatto, si è così andati in rotta di collisione con PD e SEL e noi abbiamo finito per essere raffigurati come i noiosi grilli parlanti del centro sinistra. E Grillo, inteso come Beppe, ha coperto lui quello spazio con una strepitosa campagna elettorale condotta non solo sul WEB, ma nelle piazze, come ai bei tempi. Il WEB, è bene dirlo, è stato da lui surrettiziamente utilizzato per selezionare, indisturbato al centro, i “curricula” dei suoi candidati parlamentari, esattamente come Marchionne in FIAT, che nel selezionare i nuovi assunti esclude chi ha fatto precedenti esperienze lavorative (perché vuole in FIAT operai senza passato da plasmare  come creta molle) e anche Grillo e Casaleggio hanno selezionato inesperti “perché più sei inesperto più ti posso condizionare”.

Sintesi di tutto: in virtù di questi errori, oggi, noi ci troviamo relegati  a bordo campo a commentare,  nell’indifferenza generale, il gioco degli altri (ci saranno o no le elezioni? Cosa dirà Napolitano? E via via chiacchierando e cinguettando  compulsivamente) o, i più sensibili, a tentare di contenere il “tutti a casa” in atto. Tenendo conto di una cosa: oggi nemmeno la nostra scomparsa ha fatto notizia perché, nell’immaginario collettivo, noi eravamo scomparsi ben prima, malgrado l’attivismo generoso dei militanti di base dei due partiti che, dopo anni di sacrifici tanti e soddisfazioni poche, non si meritavano questo triste approdo. È a questi compagni, che possiamo perdere, che noi dobbiamo offrire progetti capaci di entusiasmare e non i funambolici “gattopardismi” che ci offriranno i progettisti di sconfitte.  Ma come e con chi ripartire? E’ dal primo passo che si fa capire dove si vuole andare e con chi. Ed allora, in questo primo passo, se si vuole per davvero indicare la strada giusta, bisogna che non ci sia più con noi chi ci ha portato sulla via del precipizio. Sarebbe masochismo puro tornare ad affidarci a costoro. Punto e a capo. Ma c’è un altro argomento che vorrei sollevare, perché la linea settaria e autoreferenziale che ci ha portati a questo esito può, se non rovesciata (non vedo però nessun segnale, nessun ripensamento, e men che meno, nessuna autocritica che me lo faccia pensare) tradursi, precipitare in un partito- setta dello zero virgola – “più piccolo è, meno problemi crea”- diretto da un segretario mormone sostenuto da un clan coeso di amici per i quali i  primi nemici sono Vendola, il PD, la CGIL e chi proviene dal PCI. Questo partito-setta è apparso come semilavorato nell’ultima campagna elettorale, in verità più nelle pratiche del PRC che non in quelle del PdCI, che però vi si è accodato. Ecco, non mi rassegno all’idea di essere schiacciato in una minoranza guardata con sospetto dentro una formazione dogmatica. Mi sto domandando se, parlo di Rifondazione, valga ancora la pena misurarmi in un ennesimo sfiancante Congresso con quanti politicamente si sono collocati molto lontano, su un terreno di isolamento autoreferenziale, contiguo  a quello che calpesta “Lotta Comunista” che, se non altro, non si presenta alle elezioni, ma guarda alla CGIL con molta più attenzione di quella che al Sindacato riserva il partitino-setta in costruzione avanzata. Debbo però aggiungere che non si tratta solo del settarismo di un Segretario e dei suoi amici in cordata ma, con gli anni, è dolorosamente cambiata anche la natura stessa del partito, in quanto si sono fatti via via da parte, per ragioni diverse, i compagni che davano battaglia delle idee e resistevano al dilagare del settarismo, che oggi è il pensiero unico, almeno di Rifondazione.  Mi trovo così  più vicino alle idee politiche di compagni esterni a Rifondazione che non a quelle oggi  dominanti in questo Partito. Che fare?  Mi  trovo in una contraddizione che, e non solo soggettivamente, dovrò risolvere.  Ma torno al primo passo. E’ bene essere chiari, rischiando lo schematismo. La vedo così: oggi i comunisti non sono, in Italia, nella condizione che, ad esempio, si prospettò con lo scioglimento del PCI, di ricostruire una propria forza politica consistente, come fu la prima Rifondazione Comunista (11,2% al voto di Milano del 1993, il 10% al voto provinciale del1995, 8,8% al voto politico del 1996, 9,5% al voto di  Milano del 1997). Armando Cossutta, che fu un grande organizzatore, (poi commise anche grandi errori), lavorò per anni alla confezione dal basso di quella Rifondazione, e, ben prima che il che il PCI si sciogliesse, preparò gruppi dirigenti, strutture, sedi, ricercò finanziatori e alleanze. E Rifondazione poi divenne, purtroppo per breve tempo, lo strumento utile per far camminare le idee che il PCI abbandonava. Ma nacque da fondamenta saldamente gettate su un bisogno di massa. Poi di quel partito si impadronì Bertinotti, che io sostenni, e si inanellarono ben altri errori e devastanti fratture. Proprio sulla base di queste esperienze, che sono la nostra storia, credo che oggi non vada coltivata l’illusione che un partito possa essere ricostruito dal tetto e sulle macerie di un partito precedente. È un lavoro di lunga lena, invece, quello, se convinti, da intraprendere: non si tratta solo di firmare appelli. Ma ragioniamo. Se nella prima Rifondazione vennero allora a confluire più culture politiche in un progetto ardito, oggi dobbiamo fare i conti con il fallimento di quel progetto. Quel Partito così innovativo ed interessante è durato poco e poi è esploso in una decina di frammenti e, dato doloroso e curioso, in ognuno di questi frammenti si sono configurate  aree, sensibilità, correnti, talvolta micropartitini organizzati. Ricomporre la diaspora, che ha assunto questi caratteri, non solo sarebbe missione impossibile, ma intrapresa sbagliata. Se oggi si coglie la necessità di offrire, particolarmente ai lavoratori, una forza politica non solo simbolica che li rappresenti anche in Parlamento –e questa forza oggi non c’è, se non appunto sparsa nei tanti frammenti del PRC, nel PdCI, in SEL, anche nel PD, forse nell’IDV, come sicuramente in FIOM e in CGIL- bisogna essere capaci di costruire “un minimo comun denominatore programmatico” tra compagni pur diversamente collocati, se però convergono tutti sull’”idea di progetto” così sintetizzabile: se oggi in Italia non c’è un forte partito laburista di classe, ebbene questo partito in prospettiva  va costruito. Va da sé che i costruttori principali del partito non possono che essere i comunisti, ai quali più di altri compete portare in patrimonio le grandi idee del Socialismo ed essere i promotori dello sviluppo delle analisi sul Marxismo del XXI secolo. Ovviamente non possono convergere in questa “idea di progetto” quanti, all’opposto, già si racchiudono nel partito-setta, diretto dal segretario mormone. In questo partito che non ha futuro si può anche restare, ma solo per spingere il maggior numero di compagni verso l’idea e la pratica di una nuova forza laburista e di classe. È bene, invece, che convergano subito su questa idea quanti altri che, in assenza di prospettive certe, oggi pensano a un “partito di quadri”, che recuperi, in nobile proposito, il pensiero gramsciano, ai quali si offra un terreno ampio di proselitismo e verifica, perché i comunisti sono laddove ci sono le masse, non si chiudono a riccio. A Milano – perché le grandi idee decollano dalle grandi dimensioni- i luoghi in cui ragionare tra quanti convergono sull’”idea progetto” possono già essere i Centri Culturali esistenti, come il PUNTO ROSSO, il CONCETTO MARCHESI, la  CASA ROSSA, in cui i compagni di quelle forze, pur  diverse, si possono incontrare per coordinarsi. Una Associazione potrebbe definire meglio il coordinamento in cui  mettere a punto il minimo comun denominatore programmatico, dotarsi di un sito WEB, saldare relazioni orizzontali con ANPI, Camera del Lavoro, ARCI, l’associazionismo così ricco a Milano, la Fondazione Sabbatini, a Lecco l’Associazione Pio Galli. Utile supporto potrebbe già essere dato da riviste come “Gramsci Oggi” e “Marxismo Oggi”. Importante è riappropriarsi degli abbandonati temi del lavoro e dell’economia. Perché, ad esempio, lasciare a Grillo la questione dei ceti medi produttivi che fu nelle migliori tradizioni del PCI di Togliatti? Qualcuno ricorda “Ceti Medi e Emilia Rossa”? Rileggetelo ! Solo Lucio Libertini, un grande, provò a recuperarlo nella prima Rifondazione.  Perché, ancora ad esempio, lasciarci  travolgere dallo scandalismo, anche fondato, relativo ai costi della politica e non invece distinguerci, rilanciando, sui costi del capitalismo e della finanziarizzazione dell’economia italiana dentro questa crisi del capitale che impone ai lavoratori la soluzione? Questo è quello che è mancato in campagna elettorale: le idee-forza, i progetti bandiera. Si potrebbe proseguire, ma mi preme chiudere su 5 pensieri brevi:

1)    L’ambizione del partito laburista di classe che sarà, e che si sceglierà il nome e il simbolo, è di essere lo strumento politico della CGIL tutta e non solo della FIOM o di “Lavoro e Società”. Siamo d’accordo? Se siamo d’accordo è bene non mettere il cappello sui lavori in corso.

2)    Non ci sono per questo Partito nazionale modelli di riferimento  internazionali. Con una forzatura e su scala ben diversa, mi sono trovato a guardare con interesse al PT brasiliano. Siamo più o meno d’accordo?

3)    Credo che i compagni che sostengono l’idea di progetto non debbano fuoriuscire alla chetichella  dai partiti in cui oggi sono collocati almeno fino ai Congressi, ma in ogni partito pongano già ora e apertamente l’esigenza del salto in un’altra dimensione. Siamo d’accordo?

4)    Ribadisco la necessità del coordinamento subito – dell’Associazione meglio – tra compagni diversamente collocati, perché in Italia può, a breve, succedere di tutto e, se le elezioni si ripropongono (quelle europee sono già in calendario per l’anno prossimo), mi chiedo cosa sarà allora  del PD, di SEL, dell’IDV? Noi dobbiamo essere già in gioco da oggi, non so in che ruolo, non so in che collocazione  provvisoria, l’Associazione può essere il soggetto trattante. Impensabile riprodurre le esclusioni del 2OO8 e del febbraio 2013. Siamo d’accordo?

5)    C’è bisogno di tutti. Arrivassero al partito laburista di classe che sarà, un Landini o un Cofferati, questo partito del futuro avrebbe anche dei leader consolidati già nel presente. C’è bisogno di tutti, c’è però meno bisogno dei superintelligenti di “Cambiare si può”.

 

*Presidente del Centro culturale Concetto Marchesi     

 

 

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