IL PCI: NON FU UN ERRORE FONDARLO, MA SCIOGLIERLO

di Bruno Casati

Cento anni fa veniva fondato il Partito Comunista d’Italia, come sezione nazionale della Terza Internazionale, costituita nel 1919 quale proiezione mondiale della Rivoluzione Socialista d’Ottobre. Come è noto la Seconda Internazionale era drammaticamente naufragata nell’appoggio a  quell’immane massacro che fu la guerra imperialista 1914-18.

Anche il Partito Comunista Italiano nasce così da una premessa ideale pre-esistente ad esso: nasce dalla rottura che si determinò in tutto il movimento operaio socialista con la Prima  Guerra Mondiale e la Rivoluzione d’Ottobre. Fu quella rottura che infatti portò in emersione Stati e Partiti che andranno a comporre il movimento comunista mondiale. In Italia quel partito nasce con un preciso compito: fare la rivoluzione (…… e noi faremo come la Russia). Ma i comunisti italiani, incalzati dai fascisti che, sostenuti dagli industriali e dagli agrari, assalteranno non solo le sedi e le redazioni della neonata Unità, ma occupano il Comune di Milano cacciandone il Sindaco. Questi comunisti quando non incarcerati, saranno subito  costretti alla clandestinità o all’esilio. Torneranno alla luce del sole dopo vent’anni con la lotta di Liberazione e quel partito, nato per fare la rivoluzione, rinasce  come pilastro del sistema democratico. Ora quel partito non c’è più e, oggi, ciò che resta in Italia della sinistra non ha  nemmeno un nome, avendo ripudiato quelli, ritenuti indicibili, di comunista e socialista. Ma, si badi, non si tratta solo di un nome abbandonato: è stata abbandonata un’identità, intesa come visione del mondo, valori come l’uguaglianza  e  la solidarietà e  progetto di futura umanità. Con la politica oggi vissuta come un perenne presente, mentre le destre si sono ben guardate da mettere in discussione la propria ideologia fondata sulla nazione, i confini, la razza, la religione. E, senza più incontrare contrasto, esse avanzano nei consensi. Continua a leggere